11 settembre, 2006

L'impiccato

(di Davide Algozzino)

L’impiccato osservava la gogna.
Sul patibolo una stella offuscata.
continuava a emanare il proprio
riverbero su nubi che una volta
furono nubi.
Che ora erano soltanto polvere di fumo.

Di corpi bruciati e svuotati.
Svuotati e appiccati. Non impiccati.

L’impiccato osservava il patibolo.
Sulla ghigliottina una bottiglia
per la quale versare lacrime
per il suo contenuto versato per terra.
Un ultimo bacio a un pezzo di vetro
tagliente come un’emozione
che ti fila e rifila e taglia
sangue per terra leccato da un libro
che ha lingua per leggere e parlare
e scriversi senza fine.
Ma la fine è sulla gogna.

E l’impiccato osserva i suoi
pantaloni di pelle capovolti
che senza gambe possono essere cuciti
ma non possono camminare.

Nulla cade dalle loro tasche.
Nulla nelle mani nude dell’impiccato
che per ultimo desiderio
vuole solo evitare il futuro.
Perché il futuro è la fine.
Attesa, invocata, allontanata, tremata.

L’impiccato sta a testa in giù.
A osservare la sua ultima stella.
Ahimè, annebbiata.
Mentre urla disgusto e vomita parole
che il vento spazza e spezza
come le sue ossa stritolate da
pantaloni di pelle troppo stretti.
Una foto, una voce.


Un uomo guarda e pensa e piange
la foto di suo padre.
Impiccato.


L'immagine liberamente ispirata e che deliziosamente illustra la "poesia", è stata gentilmente disegnata e regalatami da Sergio Algozzino. L'ho "raddoppiata", capovolgendone una copia. Uno specchio. Un'alterazione. Una distorsione. O semplicemente un'altra visione. Perchè... tutto è relativo... e soggettivo.