23 luglio, 2007

Vacanze


Giusto qualche giorno. Giusto per annerire un po' la pelle. Giusto per ricaricare un po' le batterie. Giusto per godere della presenza e della vicinanza della mia Bimba. Giusto per godere dei suoi abbracci, coccole, baci, carezze. Giusto per rendermi conto che è sempre meno Bimba. Giusto qualche giorno. Da spremere. Da vivere. Da rilassare. Da ricordare. Vacanze. Brevi. Ma vacanze.

15 luglio, 2007

Freschi di stampa

Perry Farrell’s Satellite Party - Ultra Payloaded. Ex Jane’s Addiction, Perry Farrell torna a fare musica, supportato da grandi musicisti. Se infatti Nuno Bettencourt, ex chitarrista degli Extreme, fa parte fissa del nuovo gruppo, ecco che in questo disco appaiono anche “amichevolmente” John Frusciante e Flea (dei Red Hot Chili Peppers), Peter Hook (bassista dei Joy Division e dei New Order) e Fergie. Ultra Payloaded è un grande disco. 11 tracce che non rallentano mai il ritmo, tra chitarre e tastiere che supportano un ispiratissimo Perry Farrell. Sia da un punto di vista vocale che musicale. Rock “sporco”, dunque. Archi e tastiere infatti tolgono “grezzità” ai suoni proposti. Ma rendono davvero piacevole l’ascolto del disco, che non annoia mai e mai fa storcere il naso. Neppure quando, traccia numero 11, compare magicamente la voce di Jim Morrison. Proprio lui, già. Recuperata una parte vocale da alcune registrazioni di Jim del 1971, vi è stata costruita intorno una melodia molto piacevole e Woman In The Window è… bella! Banale come definizione, già. Ma chi mi legge non per la prima volta, sa benissimo quanto io sia iper-critico nei confronti di tutte le manipolazioni vocali e musicali e commerciali nei confronti di Jim Morrison. Woman In The Window, che da adesso è nuovo sottofondo del mio blog, è un brano davvero piacevole e… etereo. Già. Sembra arrivare direttamente da un’altra dimensione e da un altro tempo. Conferma che Jim era e sarà sempre… Jim! E conferma che con questa traccia Perry Farrell rende indimenticabile un già ottimo disco.

Velvet RevolverLibertad. Grande disco. Ho già usato queste parole per il precedente disco, e le userò anche per i dischi che seguiranno. A rischio di risultare ripetitivo e noioso, ma da parecchio non sentivo tanta abbondanza di grande musica. O quantomeno una così alta percentuale di grande musica. 6 dischi su 6. En plein. Ma, se proprio dovessi stilare una classifica di preferenze, questo sarebbe decisamente il disco che eleggerei come migliore. In attesa del nuovo disco dei Guns’n’Roses, di cui ormai da anni è annunciata l’uscita, Slash, Duff McKagan e Matt Sorum supportati dalla voce di Scott Weiland (Stone Temple Pilots) e dalla chitarra di Dave Kushner (Wasted Youth), si divertono a proporre un rock-grunge che a tratti richiama alla memoria in maniera incredibile i Nirvana (She Mine). Energia a tonnellate, riff magari scontati ma travolgenti, Slash che nel brano d’apertura (Let it Roll) sembra avere proprio tanta nostalgia dei Guns, chiusura forse troppo morbida con Gravedancer, lunga ballata che lascia spazio infine ad una bonus track tanto country quanto spregiudicata nella sua ironia proprio di questo stile musicale. In continua e forse eterna attesa del ritorno dei Guns…

The Chemical Brothers - We Are The Night. Oltre ai Daft Punk, quella dei The Chemical Brothers è l’unica musica elettronica che riesco ad ascoltare. E con un certo piacere, confesso. Anche se il disco ha in se una forte malinconia. Si, malinconia. L’inizio è in crescendo. Solo dopo quasi un minuto della seconda traccia (We are the Night), esplodono in pieno i suoni “puri” dei Chemical Brothers. Per poi lasciare spazio invece a melodie che probabilmente poco soddisferanno i più fedeli ascoltatori dei Chemical. I ritmi sono poco “danzerecci” e molto sperimentali. Volgono verso nuove frontiere, delusi anche da come gira attualmente il business della disco. Troppe “macchine” e troppo poca qualità, dicono. Troppa tecnologia e troppo poca fantasia. E allora sembrano quasi volersi distaccare da questo mondo che non sentono più loro. Ma, nonostante il mio perenne e costante scetticismo e poco apprezzamento per la musica sperimentale, questo disco mi ha colpito e impressionato positivamente. Das Spiegel è un lungo “trip”, Battle Scars è un forte richiamo alla dance anni ’80, The Pills won’t Help You Now addirittura sembra ispirata ai Radiohead. Apprezzato. E apprezzo.

Smashing PumpkinsZeitgeist. Rabbioso. Elettrico. Potente. Trasgressivo. Atteso. Ben 7 anni. In copertina, la Statua della Libertà sprofonda in un mare di sangue. Per rendere subito l’idea di quanto chitarra, voce e testi siano spregiudicati e diretti. Nei confronti di Bush, nei confronti di un’America sempre più allo sfascio e allo sbando. Non è certo il primo a schierarsi contro Bush, Billy Corgan. Sembra quasi diventata una moda, ormai, da quelle parti. Ma se nella lunga ballad United States si descrive un’America disastrata e disastrosa, ecco che in (Come on) Let’s go si inneggia ad un risveglio affinchè i valori che si stanno perdendo possano essere ritrovati prima del Doomsday Clock, brano d’apertura dell’album. Sono rimasti solo Billy Corgan e il batterista Jimmy Chamberlain, rispetto alla band originale. Ma gli Smashing continuano a suonare metal, rock e graffianti. Anche se politicizzanti. Che qualcuno anche da noi in Italia tiri fuori i coglioni per denunciare le malefatte dei nostri governi. Del precedente, di destra, e dell’attuale, deludentissimo, di sinistra. E lo sfascio verso il quale stiamo andando. Che sembra proprio essere ben peggiore di quello degli americani… Ma da noi non lo canta nessuno.

Morgan - Da A ad A. O lo si ama, o lo si odia. C’è poco da fare, non esistono compromessi riguardo Morgan. E se lo ami, non puoi non richiamare alla memoria artisti del calibro di Fabrizio De Andrè o Umberto Bindi. Con accordi musicali che riescono a richiamare alla memoria anche i Beatles e David Bowie. Si ispira fortemente agli anni ’60, Morgan. Creando atmosfere decisamente inusuali. Quantomeno per i tempi che stiamo vivendo. È un viaggio fuori dal tempo. Ipnotico. I testi sono ben costruiti e intelligenti. Carichi tanto di poesia quanto di sarcasmo. Nelle atmosfere allegoriche di U-Blue, duetta con la figlia Aria. E poi ci sono le atmosfere cupe di Liebestod e le atmosfere delicate di Una storia di Amore e Vanità e ancora quelle rock di Tra 5 Minuti. Bel disco. Assolutamente da ascoltare, specie per chi ancora ama la musica italiana e i suoi cantautori. Che non sono tutti morti o smarriti o del calibro di Max Pezzali. O lo si ama, o lo si odia, Morgan. E questo disco è totalmente da amare.

Interpol - Our Love To Admire. Inizia malinconico il disco, con Pioneer to the Falls. Ma già dalla seconda traccia, No I in Threesome, chitarra e batteria cominciano a vibrare e percuotere in maniera più decisa e “secca”, supportate da un ottimo basso. Non si raggiungono mai ritmi metal, ma il rock padroneggia anche nelle fasi più soft. Sono stati paragonati agli U2. I migliori, U2. Non certo quelli attuali, decisamente inferiori a tanti gruppi meno noti e popolari. Gli Interpol, gruppo di New York, realizza a testa bassa questo terzo album, ignorando qualsiasi tipo di confronto. E realizzando un disco tanto vario quanto omogeneo. Mammoth ha dei riff di chitarra ordinati e poderosi, Rest my Chemistry “morde” l’ascoltatore, The Lighthouse è in pieno stile U2, Who do You Think è vigorosa senza eccessi. Un buon lavoro. Un buon lavoro di gruppo. In attesa di una maggiore (e meritata) popolarità.

Cliccando sulle foto delle copertine si accede direttamente ai siti degli artisti in questione.

Questo post è dedicato a tutti quelli che lottano ogni giorno coi denti e con le unghia contro le avversità della vita. A coloro che non sono nati in un contesto di agi e privilegi. A coloro che ogni tanto sbottano apparendo, agli occhi dei più, semplicemente persone che si auto commiserano. Cazzate. Perché ogni tanto bisogna pur sfogarsi. E questo non vuol dire smettere di lottare. Non vuol dire arrendersi. Vuol dire semplicemente… che si è stanchi di aspettare che la “ruota” giri. Stanchi ma non morti. Perché queste persone hanno sempre lottato e sempre lo faranno. Hanno sempre lottato, producendo calli nelle loro mani e una corazza sempre più resistente. Questo post è un augurio a tutte queste persone. Perché la ruota cominci a scricchiolare, sotto la pressione esercitata con grandi, laboriosi e costanti sforzi. Sforzi che molti non riescono a capire. Beati loro!… Ma il pane che ogni giorno mangiano le persone a cui dedico questo post, ha un sapore diverso. È più buono. È sudato. E la ruota prima o poi girerà. L’importante è non mollare mai. Ma le persone a cui dedico questo post lo sanno già. E lo sanno benissimo. Questo post è dedicato a loro. Col cuore.

08 luglio, 2007

Apprezzamenti musicali

Dream Theater - Systematic Chaos. Sono tornati. Tornati alle origini e tornati a lasciare a bocca aperta. Welcome back, Dream Theater. Rieccoli, i geni del progressive rock. A incantare, stupire, affascinare, lasciare letteralmente esterrefatti gli ascoltatori. Sette “traccione”, per durata e per qualità, per un totale di un’ora, diciassette minuti e cinquantotto secondi di musica stra-or-di-na-ria, nella versione strumentale del disco! E che sensazioni che è capace di regalare la voce di James LaBrie, nella versione non solo strumentale del disco, che propone anche una traccia in più. Repentance mette i brividi, per quanto è intensa e delicata… Bando alle ciancie, smettetela di leggermi e andate a procurarvi questo disco imperdibile.

Maroon 5 - It Wont Be Soon Before Long. Dovevano fornire un sacco di risposte. E ancora più conferme. Il loro disco d’esordio del 2002, Songs about Jane, ha venduto la bellezza di quasi 10 milioni di copie, in giro per il mondo. Beh, magari questo disco non raggiungerà quelle cifre incredibili, ma di sicuro di copie ne venderà parecchie. I Maroon 5 continuano a strizzare l’occhio agli anni ’80. E il disco è un insieme di stili che convergono tutti verso il medesimo punto comune: buona, ottima musica. Won’t go Home without You sembra quasi ricantata su un campionamento di Every breathe you Take, Nothing lasts Forever richiama il miglior Michael Jackson, Can’t Stop e Kiwi il vecchio Prince, Goodnight Goodnight è un bel lentone per innamorati, Makes me Wonder fa muovere gambe e bacino, Better that We Break culla dolcemente, verso piacevoli ricordi, chi ha vissuto gli anni ’80. Il disco insomma comprende 12 canzoni più una bonus track tutte da ascoltare e da apprezzare. Non si butta via niente. E no. Non si butta mica via, quello che è ben fatto. Sono contento. I 6 ragazzi di Los Angeles mi stanno simpatici. Come persone. E mi stanno ancora più simpatici come musicisti. Disco che consiglio vivamente di ascoltare, ascoltare, ascoltare e conservare nello scaffale dei cd buoni.

Pink Martini - Hey Eugene. E allora. Da dove cominciare? Dunque, cominciamo a dire che China Forbes, cantante di questo gruppone composto da ben 12 elementi, si cimenta a cantare in spagnolo, francese, arabo, russo, giapponese, portoghese e ovviamente inglese, essendo loro dell’Oregon. E poi ancora: sono capaci di proporre ritmi caraibici, latin-jazz, fusion, swing, chanson francese, musica da camera… Everywhere, traccia numero 1, è delicata come sapevano esserlo le canzoni di Billie Holiday. Mar Desconocido, traccia numero 3, ti fa desiderare di saper ballare il tango o il flamenco. Hey Eugene!, traccia numero 9, è un brano strumentale. Dosvedanya mio Bombino, traccia numero 11, è… ascoltare per rendersi conto. Pazzesco. Un disco che l’unico termine che trovo per definire è per l’appunto: pazzesco. E il brano di chiusura, Tea for Two, traccia numero 12 (con la partecipazione di Jimmy Scott, 74enne jazz man), pone fine all’ascolto di un disco che propone tre quarti d’ora di piacevoli suoni e melodie. Musica tanto varia, quanto intensa e quanto ben costruita. Da sentire. Senza pentimenti.

The White Stripes - Icky Thump. Po po po? Naaaaaaaa… I White Stripes sono waaaaaaaa, tarataaaaaa, swuuummmmmmmm… Led Zeppelin, Rolling Stones, Bob Dylan… c’è un po’ di tutto, dentro il disco. Atmosfere cupe e atmosfere elettriche ed elettrizzanti. Dopo il brano d’apertura che da il titolo all’album, You Don't Know What Love Is (You Just Do As You’re Told) continua a tenere alti ed elevatissimi i ritmi e la qualità della musica. Fino ad arrivare a Conquest, brano a suo modo spagnoleggiante (più messicaneggiante, direi). C’è anche una sorta di musica irlandese, in St. Andrew (This Battle Is In The Air). E poi ancora chitarra, chitarra e chitarra. Jack si diverte e fa divertire. Mescolando generi ed ispirazioni, in un disco che è per l’appunto molto ispirato e di fattura eccezionale. Prima fratelli, poi marito e moglie, poi divorziati, poi ancora nulla di tutto questo, il duo di Detroit, pettegolezzi e congetture a parte, conferma di essere davvero uno dei migliori gruppi in circolazione. Per qualità ed originalità. Espressiva, musicale e d’abbigliamento. Icky Tump è da oggi nuovo sottofondo musicale di questo blog.

Sinead O'ConnorTheology. Quando Sinead O'Connor strappò la foto del Papa, non era impazzita. E nemmeno voleva manifestare di essere ideologicamente contro il cattolicesimo. Fece quel gesto perché le denunce di sevizie subite dai bambini irlandesi ad opera dei preti cattolici, venivano “infangate”, nascoste e quindi negate dalla Chiesa. Il suo gesto non fu un gesto di follia, ma di protesta contro il massimo esponente e rappresentante della Chiesa cattolica: il Papa, per l’appunto. Oggi tante azioni oscure, macabre, scabrose e indegne, compiute da alcuni preti cattolici, in Irlanda come in America, sono state riconosciute ed ammesse dalla Chiesa. Ma nessuno ha pensato di “rivalutare” il gesto compiuto da Sinead O'Connor. Theology è un disco d’amore. Amore verso un Dio che può essere tanto Maometto quanto Buddha o Cristo. Perché il concetto è che nessuna religione è sbagliata, se questa non viene estremizzata e fanatizzata. In fondo, tutte le religioni ambiscono allo stesso risultato: la pace dell’anima dopo la dipartita da questa vita terrena. Canta canzoni religiose e testi “ispirati”, Sinead O'Connor. In un doppio cd, che ripropone le stesse canzoni in versione acustica (Dublin Sessions) e poi in versione “col gruppo” (London Sessions). Inutile dire che personalmente preferisco di gran lunga le Dublin Sessions. La voce di Sinead O'Connor è incantevole, sublime e di una delicatezza e dolcezza che producono una piacevole “pelle d’oca”. Ma nelle London Sessions è presente I Don't Know How To Love Him, brano tratto da Jesus Christ Superstar, che da solo vale l’intero secondo cd. Bello, bello, bello. Canzoni come Jeremiah non possono che sciogliere il cuore. A qualsiasi religione si creda o si scelga di appartenere…

Questo post è dedicato a mio fratello Foolys, che tra un disegno e l’altro (è il suo lavoro!, eheheh) e tra una divagazione e l’altra (è un “difetto di fabbrica” di famiglia), sta postando un bel “limbo dei film dimenticati”. Dove finalmente ha inserito Crossroads (Mississipi Adventure in Italia), film del 1986, che si ispira a quanto sempre detto riguardo Robert Johnson. E cioè che questi fece un patto col Diavolo per poter suonare la chitarra agli straordinari livelli in cui lo fece, divenendo celebre e leggendario. Il patto comprendeva anche la possibilità di incidere 30 canzoni, ma Robert Johnson ne incise solo 29. Il film dunque è una “ricerca” della 30ma canzone sperduta, ad opera di Willie Brown (anche lui realmente esistito e grande amico di Johnson) e di Eugene, “talent boy” interpretato da Ralph Macchio (mr. Karate Kid). Le musiche sono di Ry Cooder. E il finale del film è un mito, un capolavoro… Un duello a colpi di chitarra tra Eugene e Steve Vai. Dove comunque a suonare la chitarra è sempre Steve Vai. Che perderà il duello… contro se stesso! Ma sto film l’avrò visto veramente decine di volte, quando ero piccolo. Quando le reti private proponevano film a go go. Quando non c’erano né internet né programmi p2p. Quando si guardava la tv e non il pc. E quando in tv proponevano più varietà di film. Crossroads, è praticamente del tutto sparito dalla programmazione e dai palinsesti di qualsiasi emittente, pubblica o privata che essa sia. Peccato.

01 luglio, 2007

Make Some Noise

Era il 1969 ed era ancora un componente dei Beatles, quando John Lennon organizzò, insieme a Yoko Ono, il bed-in di protesta all’hotel Hilton di Amsterdam. Una settimana trascorsa a letto, a porte aperte, tra le luci di fotografi e va e vieni di gente più o meno comune. E fu in quei giorni che John Lennon registrò Give Peace a Chance. Poco tempo dopo, i Beatles si separarono ufficialmente. E Give Peace a Chance divenne canzone simbolo della protesta contro la guerra. Ma John Lennon non smise di comporre canzoni di protesta. Che fossero di protesta politica o di protesta contro le guerre, John componeva e cantava e manifestava, divenendo così anche “bersaglio” dell’Fbi. Questa è storia. Storia della musica.

In questi giorni è stato pubblicato un doppio cd: Make Some Noise. 28 artisti di fama mondiale, reinterpretano una ventina di canzoni di John Lennon. Il tutto, organizzato da Amnesty International, con lo scopo di riportare la pace nel paese del Darfur ed evitare che donne, uomini e bambini innocenti continuino a morire a migliaia. Difesa dei diritti umani, si chiama. Difesa dei diritti umani. Operazione ancora una volta lodevole e generosa. E stavolta Yoko Ono ha prestato fede a quanto cantato più volte insieme a suo marito John: Give Peace a Chance. War is Over. Ha donato gratuitamente i diritti delle canzoni ed ha offerto tutte le royalties delle edizioni. Parte dei ricavi della vendita del doppio cd e della versione digitale dei brani sarà destinato alla campagna di Amnesty International per salvare, per l’appunto, il Darfur, e alle iniziative dell’organizzazione in altre zone nel mondo in cui sono in corso violazioni dei diritti umani.

Musicalmente il cd suona bene. Gli arrangiamenti sono pressoché fedeli alle versioni originali. Piccoli stravolgimenti, ma non eccessivi. Gli U2 cantano Istant Karma, Lenny Kravitz canta Cold Turkey, Youssou N Dour canta Jealous Guy, Avril Lavigne si cimenta in Imagine, così come Jack Johnson, i Green Day cantano la splendida Working Class Hero, Jacks Mannequin e Mick Fleetwood cantano God e i R.E.M. interpretano #9 Dream. Che da questo momento diventa sottofondo del mio blog. E poi altre voci ed altre canzoni: Cristina Aguilera (Mother), Jakob Dylan e Dhani Harrison (Gimme some Truth), Ben Harper (Beautiful Boy)… e così via. Via verso la speranza di poter porre fine alle inaudite violazioni dei più elementari diritti umani che ancora oggi purtroppo vengono perpetrati ed imposti verso, sulla e alla gente più debole.

Le foto... esplicative... che ho pubblicato, dirottano ognuna su diversi link riguardanti varie sezioni del sito ufficiale di Amnesty International nei vari Paesi.

Chiudo con le parole di Paolo Pobbiati, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International: Sappiamo che la musica ha il potere di unire e ispirare molte persone. Con centinaia di migliaia di morti, milioni di senza-tetto e la violenza sulle donne usata come tattica nel conflitto del Darfur, il mondo ha bisogno di una mobilitazione di massa per chiedere pace e giustizia. La campagna Make Some Noise combina il desiderio di John Lennon di fare del mondo un posto migliore con l’esperienza di Amnesty International nell’ottenere giustizia. Make Some Noise permetterà alla gente comune di dare una mano a salvare molte vite, un’idea di cui John Lennon sarebbe stato orgoglioso.

Questo post è dedicato a tutti quanti abbiano comprato questo doppio cd, uscito anche in allegato con Tv Sorrisi e Canzoni, per la cifra di euro 16,90. E a quanti, almeno una volta nella loro vita, abbiano cantato, magari intorno ad un falò, magari su un marciapiede, magari durante una manifestazione, magari semplicemente in casa... a quanti abbiano cantato: All We are saying is Give Peace a Chance.